sabato 25 febbraio 2017

I personaggi del romanzo: intervista esclusiva a Brema e Raise!



“I 2blood°S, il cui nome, dall’apparenza criptica e truculenta, era in realtà un raffinato gioco di parole che faceva riferimento ai gradi di parentela di sangue che separavano tra loro i tre membri del gruppo. Stranaluna infatti era cugino di secondo grado di Brema, eclettico poli strumentista, corista e fonico del gruppo, a sua volta cugino di secondo grado di Raise, giovanissimo chitarrista, grande fan degli assoli del più famoso ricciolone con cappello a tuba  della scena di Los Angeles. (…)

“Non si lamentavano più, ma il loro silenzio era ancora più inquietante anche perché, dietro di loro, in piedi, immobili e con gli sguardi vuoti e persi verso l’infinito, c’erano Hellen, Raise e Brema, vicini, ma contemporaneamente lontani e persi nelle loro orbite come i pianeti nel sistema solare: “Hellen, amici! Cosa vi è successo? Cosa vi hanno fatto?”. (tratto dal romanzo “Welcome to Insomnia”)

 
Sveliamo finalmente chi si nasconde dietro agli pseudonimi del romanzo: mi dite in breve chi siete e cosa fate nella vita, quando non interpretate la parte dei fantasmi?

Mi chiamo Matteo (Brema viene da Brescianini Matteo)  e faccio l’educatore professionale. Lavoro in un CSE con persone con disabilità.  Suono male un sacco di strumenti da circa 25 anni e canto da quando ne avevo tre. Ho una passione smodata per la musica di ogni genere (ma con una predilezione per quella afroamericana) che cerco di trasmettere ai bambini nei laboratori che svolgo in giro per le scuole primarie.

Ciao! Mi chiamo Riccardo in arte Raise e sono il chitarrista dei 2blood°S.
Nella vita faccio il magazziniere e appena ho un momento libero ovviamente mi dedico alla mia più grande passione, la chitarra.

Brema, ops, Matteo, è vero che tu le canzoni prima le fischi poi le suoni? Ci spieghi la tecnica?

Beh, è una tecnica nata tanti anni fa sotto la doccia, quando non suonavo ancora nulla, ma (come una volta mi ha detto un’ospite  di una RSA in cui facevo tirocinio) mi facevo musicoterapia da solo. Io fischio sempre (in bagno, mentre faccio le scale, in palestra, mentre dormo) e tendenzialmente improvviso. Quando mi capita di fischiare qualcosa di interessante prendo il telefono e mi registro. In pratica il mio smartphone è un manuale di ornitologia …

Raise/Ricky da dove viene questo strano soprannome? L'assolo di chitarra in “Welcome to Insomnia” è bellissimo, chi sono i tuoi “maestri” nel rock?

Il nome Raise viene da un progetto musicale chiamato “Raise the sound” non proseguito per il meglio causa imprevisti, ma comunque rimasto nel cuore.

Grazie, son contento piaccia l'assolo! I miei “maestri” sono coloro il quale mi han segnato nel più profondo. Pink Floyd, Dire Straits, Guns 'n Roses. I chitarristi David Gilmour, Mark Knoplfer e Slash sono un'icona per me e ovviamente prendo spunto da loro, cercando di tramettere il meglio di quello che ho appreso.

Teo, tu sei anche un lettore appassionato e un educatore esperto: ci dici cosa pensi del romanzo “Welcome to Insomnia”?

L’ho divorato in una giornata (a casa col ginocchio bloccato). Mi ha appassionato fin da subito e mi sono immediatamente creato la play List dei pezzi suggeriti (la “Insomnia compilation”). A tratti mi ha inquietato e appassionato. Mi sono subito affezionato alle storie dei ragazzi, forse perché un po’ assomigliano alle storie di tanti ragazzi con cui anch’io ho avuto a che fare.

Terminiamo con un altro aneddoto: è vero che il bellissimo master finale nasce dal fatto che i muri del tuo condominio sono... piuttosto sottili?

Ah ah, si. Dopo la registrazione e l’editing delle tracce mi stavo scervellando per trovare un amalgama convincente per il pezzo e mentre cercavo di fare il mix avrò ascoltato la canzone 1000 volte con le casse perché in cuffia il mix di solito viene un po’ falsato. La fortuna è che sopra di me abita uno a cui il rumore non da fastidio, anche perché è un bravissimo produttore di musica techno (Manuel Maga). Beh, volente o nolente ha dovuto ascoltarlo e il riff gli è piaciuto molto. Gli ho chiesto consigli e lui mi ha offerto la soluzione. Mi ha messo in contatto con un altro grande (Sylenth Project alias Daniele Reggiardo ) e abbiamo fatto il master via messenger tra Genova e Bollate. Non ringrazierò mai abbastanza entrambi.

Il risultato lo potete scaricare e ascoltare!

Grazie mille ragazzi, anche io non vi ringrazierò mai abbastanza per la bella avventura che è stata suonare con voi e comporre insieme le parole e la musica di “Welcome to Insomnia”. Salutatemi Hellen… se la incontrate!
                                                         Il vostro, sempre più fantasmatico, Marcus Stranaluna

 

 
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

sabato 18 febbraio 2017

“Rave party sventato ad Insomnia”: ma allora, è tutto vero!



“Mancava poco ormai alla mezzanotte e Davide era sparito dalla circolazione, forse già in cerca di qualcosa per tirar su il morale, così Luca decise di fare un giro per vedere cosa bolliva in pentola. La maggior parte di coloro che erano già arrivati e si stavano preparando ad abbandonarsi alle danze più sfrenate, erano allegre compagnie di quattro o cinque ragazzi che scaricavano dai bagagliai aperti casse di piene di bevande alcoliche di ogni tipo, come se si preparassero ad affrontare la traversata del deserto del Sahara a piedi. Dallo stereo di molte delle macchine proveniva già il tipico suono che avrebbe accompagnato i presenti per tutta la notte: tunz tunz tunz! Mano a mano che i minuti passavano si radunava una fauna sempre più varia ed eventuale: da gente che aveva la pelle più dipinta della Cappella sistina, a insospettabili studenti universitari con camicie e pantaloni più firmati di un contratto di assicurazione.” (tratto da “Welcome to Insomnia”)
 

 Ecco come io ho immaginato i momenti immediatamente precedenti ad un rave party ambientato nella ghost town di Insomnia.  In realtà, nella notte che racconto nel romanzo, il rave party si trasforma in una sorta di girone infernale dantesco con una musica di sottofondo più simile ad un pezzo dei Black Sabbath che al “tunz tunz tunz” da discoteca sotto le stelle, ma non voglio svelare altro per non togliere il piacere della scoperta a coloro che non hanno ancora letto il libro.
In questo “dietro le quinte” volevo però rispondere a tutti coloro che, incontrandomi nelle presentazioni  del libro, mi chiedono quanto di quello che racconto è successo davvero. Per prima cosa vorrei tranquillizzare tutti: ad Insomnia/Consonno non è realmente morto nessuno e ogni riferimento a fatti o persone reali ed esistenti è assolutamente casuale. E soprattutto, ci tengo a dirlo per i più sensibili: nessun fantasma è stato maltrattato.  Ma, come sempre, un fondo di verità c’è. Ad esempio, proprio in relazione ai rave party, quasi che gli organizzatori avessero letto il mio libro, ho scoperto che circa un mese fa c’è stato un tentativo di  organizzazione di un nuovo rave party, dieci anni dopo quello famigerato del 2007 al quale mi sono ispirato per la mia storia! Leggete l’articolo qui sotto per scoprire come è andata a finire:
 
 
"Olginate (Lecco), 24 gennaio 2016 – La festa è terminata ancora prima di cominciare. I carabinieri sabato sera hanno bloccato alcuni giovani che stavano allestendo l'ennesimo rave party a Consonno, il borgo fantasma di Olginate. A lanciare l'allarme sono stati i volontari dell'associazione «Amici di Consonno», che gestiscono un bar in quella che un tempo era la  Lag Vegas della Brianza e che hanno notato alcuni sconosciuti scaricare da un camper casse acustiche e mixer.
I militari, temendo che si ripetesse quanto successo in passato, quando a più riprese centinaia e centinaia di persone si sono date appuntamento clandestino nel vecchio paese dei balocchi, hanno subito identificato gli organizzatori del raduno e confiscato temporaneamente l'attrezzatura. Il pensiero è infatti immediatamente tornato al 29 e 30 giugno del 2007quando centinaia di giovani, durante un raduno a base di musica, alcol e droga, si sono accaniti su quello che resta del parco dei divertimenti a cielo aperto e sulla ex casa di riposo, causando danni per migliaia di euro e costringendo i pochi residenti  a chiudersi dentro le proprie case per difendere le proprietà.
Gli operatori del 112, prima che la situazione potesse sfuggire dal controllo, hanno immediatamente allestito pure posti di controllo in serie lungo l'unica strada di accesso alla frazione disabitata. Nel giro di mezz'oretta, anche tramite il tam tam della rete, si è così sparsa subito la voce che il ritrovo non autorizzato era saltato per "cause di forza maggiore", anzi causa forze dell'ordine."
(fonte: D.D.S. “Il Giorno”)

 

Voci incontrollate e assolutamente prive di fondamento riferiscono che sui muri della città siano comparsi graffiti raffiguranti l’inquietante silhouette del fantasmagorico Marcus Stranaluna  e che la prima canzone suonata a tutto volume dalle casse del nuovo rave fosse la versione dance del famoso brano “Welcome to Insomnia” remixata dal mitico DJ Davie Terry. In questo momento, mentre vengo portato in questura in manette per accertamenti, cerco di spiegare alle forze dell’ordine che io non c’entro assolutamente niente con gli organizzatori perché, in verità, la versione remix, che esiste davvero, è custodita nel mio caveau personale e verrà ufficialmente lanciata settimana prossima  proprio su questo stesso blog! E non sarà uno scherzo di Carnevale. State connessi e ne vedrete, anzi ne ballerete delle belle ;)
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

sabato 11 febbraio 2017

Le nuvole parlanti in Welcome to Insomnia



Il mio incondizionato amore per i fumetti nasce già da quando ero piccolo e leggevo “Topolino” che fu anche la mia prima fonte di guadagno quando, in estate sul viale nella pineta di Ravenna che portava alla spiaggia del campeggio, vendevo i numeri già letti a metà prezzo. Poi sono arrivati Tex e Zagor e il mio amore per la storia e la cultura dei Nativi americani, gli Indiani.  In seguito, ai tempi dell’università, sul treno, divoravo gli orrori dei Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Poi è arrivato il momento della Marvel. Amavo soprattutto  i personaggi minori: Namor sub-mariner, il principe di Atlantide, ma soprattutto Ghost Rider e la sua moto fiammeggiante… mi ricorda qualcosa, ma cosa?
 
Poi, dopo aver adorato  il film maledetto  con Brandon Lee, ho scoperto che “Il Corvo” era tratto da un fumetto di James O’Barr. C’era il fantasma di un giovane chitarrista, morto di morte violenta, che  era sospeso tra la terra e il cielo…ma, dove l’ho già sentita questa storia? 
 
 La mia carriera di scrittore ha addirittura rischiato di cominciare come sceneggiatore di fumetti.  Era il 1998, da un anno collezionavo uno dei più bei fumetti di sempre: “Magico Vento”, lo sciamano bianco, che univa i miei due più grandi amori: la paura e il west.  Il primo numero si intitolava “Fort ghost”, dove il protagonista dai lunghi capelli lotta contro un esercito di fantasmi in un luogo maledetto… ma sì, ho già letto qualcosa di simile, ma dove?
 

Ma torniamo alla mia quasi carriera nel mondo delle nuvole parlanti. A quei tempi lavoravo come educatore in una cooperativa sociale e in un pomeriggio di primavera mi squilla il cellulare, un Motorola preistorico del peso di un paio di chili. Dall’altra parte Gianfranco Manfredi, l’autore di Magico Vento! Ha letto la mia lettera dove mi definivo esperto di Nativi americani, avendoci scritto la mia tesi di storia contemporanea e dove mi proponevo di affiancarlo nell’ideazione dei soggetti del suo fumetto. Quel giorno ho toccato il cielo con un dito anche perché lui stesso, in un paio di lettere che conservo gelosamente, mi suggeriva come procedere per studiare le tecniche di scrittura dei fumetti: il protagonista, la spalla, i cambi di scenario, le pagine in cui succedono i colpi di scena etc. Nei mesi successivi ho vivisezionato decine  e decine di fumetti, di sera, dopo il lavoro, nella mia stanza, alla luce di una candela posta in cima ad un teschio (finto). Poi ho provato a scrivere un soggetto e gliel’ho spedito. Lui ha lasciato passare un po’ di tempo, poi mi ha risposto, dicendomi che aveva deciso di continuare a scrivere Magico Vento da solo, non perché a me mancasse il talento, ma perché la storia che aveva in mente era talmente complessa e personale, che non poteva condividerla con nessuno. E così in effetti è stato fino alla chiusura della serie. Io ci sono rimasto molto male, ovviamente, ma ho apprezzato la sua sincerità e non lo ringrazierò mai abbastanza per quella telefonata e per quelle lettere.

Forse non è stato un caso che, dopo anni che non mi capitava più, nel mese di gennaio di quest’anno, due mesi dopo l’uscita di “Welcome to Insomnia” ho acquistato un numero di Dylan Dog. Si intitola: “Gli anni selvaggi”, a mio parere un piccolo capolavoro in una scena di crisi di vendite e di idee per i fumetti.  Parla della gioventù di Dylan, di hard e punk rock,  di suoni forti e tenebrosi, di amore e di morte, di fantasmi che sono più adorati da morti che da vivi. Ma chissà dove le ho già sentite queste storie? Forse è solo che le ho già vissute, quando ancora esistevo ;)

gianlucaalzatiinsomnia Web Developer

sabato 4 febbraio 2017

Ho fatto un sogno, anzi un incubo.



Lo scorso anno, mentre stavo elaborando la trama di “Welcome to Insomnia”, un forte dubbio continuava a risuonare nella mia mente: ha senso provare a scrivere un romanzo gotico, quasi horror, con protagonisti i fantasmi, ma che abbia nello stesso tempo l’ambizione di proporre anche importanti temi sociali, psicologici e ambientali? Certo, ero consapevole che questo tipo di letteratura ha sempre un sotto testo, una metafora, un riferimento alla realtà, nascosto, ma non troppo, tra le pieghe della fantasia. Le tematiche che avevo in mente erano nello stesso tempo molto attuali ma comunque difficili da trattare in un romanzo di questo genere, rivolto soprattutto ai giovani. Per diversi giorni il dubbio non mi ha abbandonato, fino a quando, quasi per caso, ho ritrovato una frase che tempo addietro mi ero appuntato sul mio “taccuino delle idee importanti”.
 

La frase era la seguente: “Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò, andò ad aprire e vide che non c’era nessuno.” Questo è uno dei più begli aforismi di Martin Luther King tratto dal libro “La forza di amare” del 1963. La prima volta che ho letto questo testo, correvano i primi anni Novanta, io ero un giovane studente universitario e stavo facendo il percorso che mi avrebbe portato a seguire la filosofia della non violenza, ad entrare a far parte di movimenti ecologisti, diventare attivista del partito dei Verdi e infine anche vegetariano. Avevo letto i discorsi sulla convivenza tra le religioni di Gandhi, approfondito il pensiero del mite combattente Alex Langer, conosciuto la liberazione animale di Peter Singer, ed ero rimasto affascinato dalla filosofia di Martin Luther King sulla lotta nonviolenta per il raggiungimento dei diritti civili degli afroamericani. Forse fu proprio la lettura di questo libro (a questo link trovate una interessantissima recensione e una biografia di King) a convincermi definitivamente a far domanda per diventare obiettore di coscienza quando ancora non era così semplice convincere il ministero della difesa che si poteva “servire la propria patria” senza imparare a sparare nella pancia a nessuno, come dice la mia grande amica partigiana Lidia Menapace.

Sono passati più di vent’anni da quel momento di grandi passioni e ideali giovanili e tante cose sono cambiate. Ad esempio non sono più vegetariano, purtroppo. Poi ci sono state disillusioni e dolorosi bagni di realtà, ma ancora oggi, nel mio piccolo e non senza contraddizioni, cerco di portare avanti queste idee che sono entrate a far parte del mio personale bagaglio culturale. Allora ho pensato che la paura poteva davvero essere un grande scenario per parlare di argomenti importanti e dibattuti. Me ne sono convinto ancora di più quando l’estate scorsa ho sentito in televisione uno degli psicologi che sono andati a parlare con i bambini di Amatrice dopo il terremoto. Lo psicologo diceva che molti bambini esprimevano il loro disagio nei disegni, ma a parole facevano fatica ad ammettere di avere paura, si vergognavano di dirlo di fronte ai loro compagni. Lo psicologo li aiutava a capire che invece ammettere di avere paura era il primo passo per riuscire a conviverci e rielaborarla. Ecco perché ho deciso che la frase simbolo del mio romanzo sarebbe stata: “Ci vuole coraggio per avere paura”.
gianlucaalzatiinsomnia Web Developer